30 May
30May

"Le cose son due o ami o odi...Sempre in competizione...dare il meglio per farti capire che il limite...ben più in alto di ogni tua prospettiva limitata!"


Mio padre...un capitolo un po' delicato, raccontare quello che è presente ma non c'è fisicamente è sempre delicato. Con una parola direi: Fantasma. Lo è stato in vita, e lo è ancor di più adesso che da circa 3 anni è morto. Quando parlo di Fantasmi, non posso far altro che pensare, allo Spirito (the soul), l'Anima. Perciò essere fantasma non significa non essere presente, mancare nei momenti importanti, abbandonare chi dovresti proteggere, parliamo di incapacità di mettere parole, una dietro l'altra per esprimere emozioni, che altresì, per forza di cose, devono essere carpite da chi le aspetta, in maniera altra, talvolta subdola, come il sentirti dire dagli altri: "ma tuo padre ti vuole bene"(capitolo dedicato a mia madre).

Questo difetto, patriarcale, di non prenderti e farti volare, ma formarti a suon di rinunce emotive mi ha sempre infastidito, per anni ho pensato fosse un modo tutto "provinciale", di comportarsi, per anni ho dato la colpa a mio nonno Serafino, che non ho mai conosciuto, tra l'altro è morto quando mio padre aveva la stessa età che avevo io quando è morto papà. Gli scontri sono stati tanti, la politica, la scuola, gli amici, le scelte e infine il lavoro...l'attore!!! 

La cosa più buffa è che quello che nascondono le parole non si nasconde al cuore, e qui che casca l'asino. Mio padre è stato un'istrionico mattatore, grande appassionato di musica e teatro, sempre in maniera amatoriale, devoto a qualsiasi forma di trasformismo, che fosse vestirsi da donna o interpretare ruoli grotteschi o imbarazzanti. Mi viene in mente un'aneddoto davvero particolare: avevo 13 anni e dovevo esibirmi al saggio di chitarra in un teatrino parrocchiale del mio paese, mio padre aveva conosciuto il Maestro che organizzava tutta la cosa, e gli era scappato detto al Maestro che avevano tanti giovani musicisti e pochi cantanti, così che sarebbe stato difficile far un intero concerto con così pochi cantanti. Al che mio padre non c'ha pensato due volte: "Ci sono io, che problema c'è" e così il giorno del saggio mi ritrovo mio padre che invece di stare seduto, bello bello, in platea è dietro nei camerini con me, che si esibisce al saggio. Avrebbe cantato due brani: What a wonderfull World (ma facendo finta di essere Ray Charles, perciò cieco, anche se il pezzo è di Armstrong) e poi Albachiara di Vasco Rossi, n.d.r. i due pezzi erano praticamente consecutivi perciò, mio padre con rapidità felina, pensò bene, di spogliarsi davanti a tutti i bambini o ragazzi che fossero, dietro le quinte; compreso me che riuscì solo a dire: "papà ma che..." e lui sempre con la stessa velocità da gatto: "zitto passami gli occhiali da sole di tua sorella!", un paio di ray-ban rosa modello Vasco Rossi primi anni 2000.

Le cose son due: o lo ami o lo odi; solo che per poter amare una persona del genere dovevi odiarla. Sempre in competizione, sempre pronto a dare il meglio per farti capire che il limite su cui proiettarsi era ben più in alto di ogni tua prospettiva limitata! C'è stato un compromesso storico, una volta, e fortunatamente era ancora in vita. Quando ha capito che sarebbe morto: ha mostrato finalmente la sua faccia e mi sono accorto della bellezza che emanava, la sua vera attitudine, per anni aveva dato il meglio agli altri e tornando a casa, stanco si buttava sul divano e "moriva" davanti alla tv. Ha sempre pensato che noi sapevamo quanto impegno ci volesse a vivere una vita come la sua, e la cosa assurda è che l'abbiamo sempre assecondato. 

Poi quando ha capito che non c'era più niente da fare si è esibito nel suo pezzo preferito: "l'amore per tutto ciò che era nato dal suo volere". Ci siamo stretti in una sola cosa e la famiglia aveva meccanismi perfetti su cui far correre le lancette del tempo che separavano il tempo dal suo passaggio... Affrontare certi discorsi, è tanto scomodo come doloroso, piango lacrime sempre nuove al ricordo di quei momenti: rabbia, abbandono, solitudine, unione, menzogne, paura, ingiustizia, comicità e molto altro ancora si mescolavano a ritmo di un cuore impazzito e poi inevitabilmente spezzato.

Ma c'è un momento molto intenso che non posso dimenticare, il momento in cui se n'è andato dal suo corpo. L'8 ottobre del 2017 ero appena rientrato da Bologna, mia mamma mi aveva accennato che di li a poco sarebbe morto, era in ospedale a Torrette di Ancona, e completamente imbottito di tranquillanti, lottava per allungare la sua agonia, concetto tutto Cristiano di tenersi aggrappati alla vita. Mi sveglio penso di voler andare a correre, penso che forse mi farò una doccia, mi chiama mio zio: "Filo vieni, ci siamo..." percorro strade, stop e semafori, "volo" nel reparto sapendo che sarà la "nostra ultima volta", papà mi vede sorride e immediatamente entra in una "stanza nebulosa", un coma vigile, che lo separa dalla morte. Ci disponiamo intorno al letto, io al suo fianco con la mano nella mano sua, mia madre, mio zio e un'altra persona al capo del letto, e contiamo i respiri, uno e ancora uno e ancora uno, ancora uno!!! Ad un tratto i suoi occhi si sono fatti grandissimi come se il fiato avesse spento ogni speranza di rimanere ancora "a galla!" come una profonda apnea, portata in cielo da un volo mistico con ali d'oro. Io non credo agli Angeli, ma li cerco ovunque, io non credo nel Paradiso, ma qualcosa esiste, non prego mai per qualcosa che effettivamente non vedo, eppure sento che c'è qualcosa. Per esempio quel giorno ho sentito che quegli occhi, quei meravigliosi occhi se n'erano andati da me, e l'unico modo di farli tornare indietro sarebbe stata la nascita di un figlio. Che padre sarò, cosa ho capito da tutta questa faccenda? E se fosse vero che le "Querce non hanno mai fatto le Melarance"


«Quanto più ci innalziamo, tanto più piccoli sembriamo a quelli che non possono volare» F. Nietzsche 

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